Il Gruppo Arlecchino e gli Zanni

Originario di San Giovanni Bianco, dove si conserva la casa di Arlecchino, il gruppo de “L’Arlechì e chi oter Zani so’ fradèi” interpreta le radici bergamasche della celebre maschera della Commedia dell’Arte. Recuperando ritmi e danze delle feste popolari alpine e giostrando una trentina di elementi, che si accompagnano ad un antico carro di Tespi, Arlecchino guida lo svolgersi di sfilate ed intrattenimenti in cui è fondamentale tanto la rappresentazione “all’improvvisa”, quanto il coinvolgimento del pubblico. Oltre ai riti carnevaleschi, il gruppo ripercorre nella trama di uno spettacolo vero e proprio la storia di Arlecchino che, come zanni bergamasco approda a Venezia in cerca di fortuna. Quadri improvvisi, evocazioni mimiche e scenografiche, colorate da canti, balli e suoni della tradizione, in cui emergono le voci del “sìfol” (piffero) e del “baghèt” (zampogna delle alpi), creano l’atmosfera che farà riconoscere ed applaudire il personaggio di Arlecchino come un irrinunciabile compagno di viaggio.

Il Gruppo Arlecchino e gli Zanni ARLECCHINO
Chi è Arlecchino, che dal colorito ricamo del vestito fa trasparire un po’ del nostro carattere e della nostra umanità?
Ha fame e se mangia si rammarica che non sarà mai sazio; è stanco per quel poco che ha fatto, ma gli pesa ancor più la fatica che non riuscirà ad evitare domani; rimpiange un amore perduto e già ammicca al prurito di nuove sospirate passioni; sogna beatitudini celesti, ma cede presto alle lusinghe di infernali diavolerie. Non nasconde le sue pecche, ma quando le denuncia sembra leggerle ironicamente riflesse nelle nostre contraddizioni. Riesce dunque ad evitare giudizi troppo severi, tanto più che il “batòcio”, che fa più rumore che male, se lo sbatacchia lui per primo sul suo posteriore. Anche per questo ci piace e vorremmo saperne di più. Le sue origini sono però così lontane, che si perdono nelle leggende che ognuno gli ha ricamato attorno per sentirselo ancor più suo. Ha animato i carnevali alpini, interpretando nell’avversa stagione i riti propiziatori di attese fertilità. Nei più cupi temporali si è rivelato bizzarro artefice di rombi e tuoni, così da sminuirne gli effetti terrificanti. Dando voce alle loro aspirazioni, ha alleviato le pene dei poveri valligiani costretti ad una continua emigrazione.

E ancor di più si rende protagonista del loro emblematico riscatto, quando nelle commedie gioca divertito il ruolo bislacco del servo fannullone facendo ricorso ad abili espedienti che denotano invero la genialità d’un indole caparbia ed operosa. Così è cresciuto nella cultura popolare della sua gente e, senza quasi invecchiare, conserva inalterato da più di cinque secoli il primato degli applausi delle piazze e dei teatri che lo reclamano in tutto il mondo.

GLI ZANNI
Cinquecento e più anni fa, quando Venezia reclamava l’esclusivo primato europeo nell’espansione dei traffici ad oriente, i campi e le calli della città lagunare brulicavano di vari e diversi accenti. Tra tutti era comunque inconfondibile il dialetto bergamasco, parlato da quella moltitudine di facchini che dalle regioni montane avevano invaso la capitale cosmopolita. Anche i mercanti stranieri s’erano abituati a conoscerli per la loro laboriosità e, quando ne avevano bisogno, chiamavano: “ohe, Zanni vien qua”. Se anche il suo nome non era Giovanni (di cui Zanni era il diminutivo), a quel richiamo, che voleva dire pane assicurato, un facchino begamasco accorreva sempre. L’appellativo “Zanni” divenne dunque sintomatico di tutta la categoria dei servitori bergamaschi, che peraltro già si distinguevano per le colorite espressioni del carattere e della mimica indiavolata che spesso si arrabattava a decifrare i suoni duri ed aspri di un dialetto poco più che comprensibile. Gli Zanni erano riconoscibili anche perché si identificavano in precise corporazioni, rette da regole e consuetudini che avevano trasfuso a Venezia quei forti vincoli di solidarietà reciproca tipici della gente di montagna. Negli sviluppi economici di quella mercatura in continua evoluzione queste corporazioni garantivano un certo grado di tutela sia per i salariati, che non isolatamente contrattavano le loro prestazioni, sia per i committenti cui veniva assicurato un sicuro ed efficace servizio da parte della stessa corporazione incaricata. Le corporazioni bergamasche, in occasione di particolari ricorrenze liturgiche e profane rafforzavano poi anche con significativi momenti di aggregazione gli aspetti più caratteristici delle comunità originarie. I canti e i balli della loro tradizione, più esuberanti e vivaci della compitezza assunta dalle analoghe espressioni urbane, balzavano subito all’occhio ed incuriosivano chi, anche col ballo, voleva trasmettere messaggi di forte vitalità. I loro dialoghi, non meno vivaci e sapidi, erano poi un vero spettacolo che si decifrava più dall’insieme dei gesti che dal significato delle parole, qualche volta poco più eloquenti di un grugnito.

Quanti spunti per tessere su questo mosaico la trama di avvincenti episodi caricaturali. Ed infatti la comunità bergamasca, che già di per sé aveva enfatizzato alcune posture ed alcuni vezzi atavici, finì oggetto di numerosi lazzi comici non sempre apprezzati per le gratuite esasperazioni. Forse fu proprio da un atteggiamento di autonoma e critica rivalsa al protrarsi di un dileggio indesiderato che nacque lo spirito di Arlecchino, ad opera certamente di qualcuno che il bergamasco l'aveva nel cuore. Arlecchino non smette infatti i panni dello Zanni, servo umile e sciocco delle prime rappresentazioni, ma, a un certo punto, nella definizione del suo carattere cresce il grado di una incontrovertibile simpatia capace di capovolgere a suo favore ogni altro ruolo, sovvertendo addirittura la superiorità emblematica dei padroni di casa, Pantalone compreso. Fin qui è determinante nell’evoluzione di Arlecchino l’aspetto corale degli Zanni, quale matrice di confronto dei vari personaggi che a più riprese animarono la “commedia dell’arte”, che dalla vita quotidiana traeva il suo naturale fondamento.  *e.l.


Gruppo Arlecchino e gli Zanni THE GROUP
The group of “L’Arlecchino e chi oter Zani so’ fradèi” from San Giovanni Bianco (where there is Arlecchino's home) plays the Bergamo origin of the famous mask of improvised comedy. Recovering rhythms and dances of folck mountain parties, the group is composed by thirty persons who, with their old cart of Tespi, takes part to passings and entertainments where both surprising representation and involving public are important. In addition to the carnival customs, the group shows the real story of Arlecchino who, as a buffoon from Bergamo, reaches Venice looking far lucky. Improvisations, mimics, shene-paintings improved by songs, dances and traditional music, with the voice of “sìfol” (fife) and of “baghèt” (reed-pipe from the Alps), make an atmosphere in order that public will recognize and clap Arlecchino as the most travelling compassion.